Tre favole romane by Piero Boitani

Tre favole romane by Piero Boitani

autore:Piero, Boitani [Boitani, Piero]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Critica letteraria, Contrappunti
ISBN: 9788815320834
editore: Societa editrice il Mulino Spa
pubblicato: 2014-10-14T22:00:00+00:00


II

Urbs et Orbis. Riflessioni di un senatore nell’anno 306

La scena è sui colli della Sabina, non lontano da Roma, nell’anno 306 della nostra era, tra l’abdicazione di Diocleziano e l’avvento di Costantino, tra l’ultima grande persecuzione contro i cristiani nel 303, e l’Editto di Milano con il quale Costantino e Licinio, nel 313, permisero di praticare sul territorio dell’impero tutte le religioni. Costantino, per parte sua, cominciò a costruire a Roma le grandi basiliche cristiane: San Giovanni in Laterano, San Paolo fuori le Mura, San Pietro in Vaticano.

Mi chiamo Paolo Camillo B…, e sono un senatore di Roma. Un pagano abbiente, colto e illuminato. Vivo nella mia villa in Sabina da maggio a ottobre e seguo con qualche ansia le notizie che provengono dall’Urbe. Come tutti quelli del mio rango, parlo, leggo e scrivo latino e greco. Benché le due parti dell’impero, Occidente e Oriente, siano alquanto diverse l’una dall’altra, e il latino domini nella prima, mentre la seconda è il regno del greco, c’è una koiné, una comunità culturale, che si estende dall’Atlantico all’Africa settentrionale, dall’Europa che giunge al Reno e al Danubio sino al Medio Oriente, attraverso centri quali Roma, Atene, Alessandria, Antiochia e prossimamente Bisanzio: una comunità che condivide il medesimo fondo di cultura e nello stesso tempo è dotata di diversità.

Una impressionante tradizione letteraria e filosofica ormai quasi millenaria è giunta sino a me ed è conservata intatta nelle grandi biblioteche del Mediterraneo, soprattutto ad Alessandria e a Roma. Io stesso possiedo alcune migliaia di rotoli che contengono tutti i «classici» (come li chiamerebbe Aulo Gellio, che ha inventato la parola cent’anni fa). Li ho letti quasi tutti: Omero, i cicli epici, Esiodo, i grandi tragici e i comici del V e del IV secolo, i presocratici, Platone, Aristotele, gli Stoici, gli Epicurei, gli storici greci e romani, i lirici e i narratori di entrambe le lingue.

Una sera dopo cena, nella mia biblioteca, comincio a leggere un saggio dello scrittore greco Plutarco, del quale conosco già le affascinanti Vite parallele dei grandi personaggi greci e romani. Il saggio s’intitola Il tramonto degli oracoli: un titolo che mi ha incuriosito sin da quando, alcuni giorni fa, ho ricevuto dal mio libraio diversi rotoli dei cosiddetti Moralia. Plutarco scrive bene ed è un grande narratore. La serata promette d’essere particolarmente piacevole.

Comincio a leggere, e poco dopo l’inizio incontro una strana storia. Plutarco racconta le avventure di Tamo, il pilota egizio di una nave che viaggiava dalla Grecia all’Italia. Una sera, presso l’isola di Passo, il vento cadde di colpo e all’improvviso si sentì una voce che chiamava Tamo per nome, ingiungendogli di annunciare a tutti gli uomini che il grande dio Pan era morto. Quando, nella bonaccia, Tamo avvistò Palode e ripeté il messaggio alla terraferma, si levò dalla costa un gran gemito, «non di una persona sola, ma di tante, e pieno di stupefatta meraviglia».

La storia mi turba. Per cominciare, gli oracoli non hanno affatto l’aria di voler scomparire. Qualcuno, addirittura, sta raccogliendo una collezione di oracoli chiamati «Sibillini» che, per quel che mi dicono, sono pagani ma anche ebraici e cristiani.



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